Chi non ha mai lavorato ad Amici potrà trovare queste mie parole esagerate e persino stucchevoli. Chi, al contrario, ha avuto la fortuna di dare il proprio contributo a quella macchina meravigliosamente infernale capirà perfettamente quello che provo.
Amici è un programma complicato, lunghissimo, faticoso. Un programma che richiede a chi partecipa e a chi ci lavora un impegno costante che dura sei mesi. Un impegno costante fisico e mentale. Un’attenzione massima tutti i giorni, parecchie ore al giorno. Non è una passeggiata. Non è facile. Nel corso dell’anno è normale che ti capiti di pensare “Ma chi me lo ha fatto fare?”, magari quando per il settimo giorno consecutivo fai le undici di sera.
Quando Amici finisce, però, puntualmente arriva anche una malinconia strana, una sensazione di vuoto che passerà solo con le settimane. Quella appena finita è stata la mia quarta edizione e mai come quest’anno la malinconia è ancora più presente.
Amici è un’esperienza totalizzante, Amici è letteralmente la tua vita per sei mesi. Amici è una macchina enorme che si muove solo se tutti gli ingranaggi si muovo all’unisono. E quando ci si riesce, come quest’anno, la soddisfazione è tanta. Amici è partecipazione emotiva, affezione nei confronti di un gruppo di ragazzi che coltivano un sogno purissimo e appassionato. Amici è commuoversi con loro, gioire con loro, preoccuparsi per loro quando le cose non vanno come vorrebbero. È anche lavoro, naturalmente, ma non può essere affrontato solo da un punto di vista professionale, con un approccio troppo distaccato, come se si trattasse di lavorare al catasto o in una catena di montaggio. Ho visto menti brillantissime non riuscire a capire questa cosa fondamentale e, dunque, fallire miseramente. È un’avventura umana che si nutre di passioni, di rabbia e gioia, entusiasmo e scoramento. ed è una cosa che vale per tutti, al di là e al di qua delle telecamere.
Quando l’ultimo coriandolo dorato viene sparato al momento della proclamazione del vincitore, dietro le quinte aleggia una sensazione strana, fatta di leggerezza ma anche di profonda malinconia. Io la chiamo “mal d’Amici”, quel malessere che quando sei lontano ti pervade anche se non lo vuoi. È una sensazione che non si combatte, si abbraccia e ci si lascia portare.
Quando Maria ha ringraziato tutti quelli che danno un contributo affinché questo programma continui a esistere e a mostrare intatta tutta la sua efficacia, dietro le quinte ho visto occhi lucidi, abbracci, sorrisi. Ho visto una comunità di persone che condividono gran parte del loro tempo e che hanno uno scopo comune: tenere in piedi un sogno e provare a farlo vivere a ragazzi meravigliosi, complessi, fragili, appassionati, talentuosi.
Ripeto: chi non lo ha vissuto non può capirlo. E chi lo ha vissuto ma ne ha colto solo il lato faticoso e stressante, non lo ha capito. Fosse solo lavoro, Amici sarebbe un’impresa titanica che difficilmente si può portare a termine con tutte le ossa integre. Ma non è e non può essere solo lavoro. È l’intera gamma dei sentimenti umani che si alternano per sei mesi senza soluzione di continuità. È arrabbiature feroci, errori, fatica, mal di testa, lacrime, silenzio, caos, empatia e insofferenza. Ma soprattutto è un lavoro di squadra. Quel grazie di Maria, dunque, soprattutto in un anno del genere, assume un significato particolare. Non è un gesto dovuto alla fine di un programma televisivo. In quel grazie c’era il racconto di una grande famiglia che ci ha messo tutto quello che ci poteva mettere e spesso anche di più. Il privilegio di far parte di un gruppo del genere riesce a far dimenticare persino le incazzature, i momenti in cui pensi di non farcela e vorresti mollare tutto, la fatica, la stanchezza, i mal di testa, le lacrime. Quest’anno ho vissuto il mio anno migliore dal punto di vista professionale. Gran parte del marito è dei miei compagni d’avventura. Abbiamo lavorato in squadra, facendoci forza l’un l’altro. Quando uno di noi inciampava, gli altri erano lì, pronti a sorreggerlo e rimetterlo in corsa. E se a guidare la corsa è un cavallo di razza come quello che guida Amici, credetemi che non è sempre facilissimo stare al passo.
“Se sai fare Amici, puoi fare qualsiasi cosa”. Me lo hanno ripetuto tante volte, quando sono arrivato ormai 4 anni fa. Io non so se so fare Amici. Quello che so è che farlo è una delle esperienze più incredibili che uno che fa il mio mestiere può vivere. Nonostante la fatica, nonostante la tensione, nonostante tutto. Viva Amici!