Ho sentito mio nonno tossire

Non credo nella vita dopo la morte e non credo che tra morti e vivi ci possa essere un rapporto, un contatto, una connessione.Eppure all’alba, evidentemente ancora in dormiveglia, mi è sembrato di sentire il colpo di tosse che puntualmente, negli ultimi trent’anni, saliva da casa dei miei nonni fino alla mia, a scandire le mie notti di bambino, di adolescente e poi di uomo. Una tosse figlia di tre pacchetti al giorno di Kim fumati per decenni, senza soluzione di continuità, fino alla prima metà degli anni Ottanta. Poi nonno era riuscito a dire basta e a diventare, come prassi vuole per tutti i convertiti, un fanatico testimonial anti-fumo. Decisione saggia ma tardiva, visto che una tosse costante, stentorea, lo accompagnava nelle sue giornate come i rintocchi di una vecchia campana malandata che rintoccava a ricordare lo scorrere del tempo e, chissà, anche la caducità dell’esistenza.

Mio nonno era bassino, piccolo di statura, dai lineamenti e dai colori delicati. Eppure quella tosse riusciva a conferirgli un’imponenza e un’autorevolezza quasi biblica. Io quella tosse, dicevo, credo di averla sentita stamattina all’alba. Ovviamente non l’ho sentita davvero, visto che i fantasmi non esistono. Credo, piuttosto, di averla voluta sentire. Ne avevo bisogno. Mi mancava. Le estati degli ultimi 23 anni erano le estati del ritorno a casa da Roma, quelle del temporaneo (anche se sempre più sfilacciato) riannodarsi dei fili che mi legavano alle origini, al posto a cui appartenevo, a casa. E di quelle estati la tosse di nonno era ingrediente imprescindibile. Era uno dei segnali che stavo a casa, che l’extraterritorialità di quel fortino di tre piani era ancora una volta garantita per qualche settimana e che al piano terra, di guardia, c’era il vecchio buffo dalla voce stentorea a vegliare su tutti i suoi abitanti.

Quest’anno quella tosse non l’ho sentita perché nonno è morto lo scorso autunno. E l’assenza di quel segnale sonoro che scuoteva le notti afose di via Verga è stata la certificazione concreta di una mancanza con la quale ero riuscito a non fare i conti per 9 mesi.Negli ultimi anni, poi, nonno dormiva sempre meno e sempre peggio. Quando dormiva, però, alternava la tosse a un nuovo talento: cantava. Sì, mio nonno cantava nel sonno e io, un piano più in alto, venivo travolto da un’ondata di tenerezza e divertimento ogni volta che partiva il concertino. Cantava canzoni strane, filastrocche in dialetto. Esistono anche prove audio, visto che noi nipoti più volte ci appostavamo sotto la finestra a registrare, non riuscendo a trattenere le risate. Sono audio che nessuno ascolta più, perché la sua mancanza brucia ancora in petto a tutti gli abitanti del fortino rimasto sguarnito.

E forse è per questo che stamattina all’alba, guarda caso a poche ore dall’ennesimo treno che scioglieva ancora una volta i lacci ormai lisi del rapporto con le origini, il mio cervello ha deciso che era arrivato il momento di riascoltare nonno, la sua tosse stentorea e cadenzata che partiva piano per poi esplodere al terzo colpo. Un rintocco finale di una torre rimasta senza guardiano.

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